
Gli esperti definiscono Melendugno una zona umida, ovvero un serbatoio di biodiversità. Le zone umide assorbono le piogge in eccesso, arginando così il rischio di inondazioni, rallentando l’insorgere della siccità e riducendo al minimo la penuria d’acqua. Basti pensare che solo le torbiere, che coprono circa il 3% del territorio del nostro pianeta, immagazzinano circa il 30% di tutto il carbonio: il doppio di tutte le foreste del mondo.
Qui in Salento il paesaggio è senza precedenti grazie anche all’impianto di fitodepurazione, un eccellente esempio di utilizzo dell’acqua depurata per la riqualificazione ambientale. In un territorio come la Puglia da sempre sitibonda, nel Salento in particolare, l’acqua depurata può essere utilizzata per scopi irrigui, preservando così la risorsa idrica pregiata per scopi potabili. Utilizzando i reflui raffinati per scopi irrigui si evita di prelevare acqua dalla falda. Se da un lato le zone umide svolgono un importante ruolo di contrasto ai cambiamenti climatici, dall’altro si si continua a parlare di un loro drammatico declino causato in primo luogo dalle attività umane: dal prelievo di risorse idriche per l’agricoltura intensiva all’uso di fitofarmaci, dall’urbanizzazione agli scarichi industriali.
Su scala europea è arrivata in aiuto la Strategia della Biodiversità, che vorrebbe invertire l’attuale perdita di biodiversità e collasso degli ecosistemi. Ci sono alcuni punti delle nuove che interessano anche il ripristino delle aree umide. Tra queste: l’incremento della tutela delle aree e di corridoi ecologici importanti per la biodiversità fino a raggiungere il 30% del territorio protetto; il ripristino delle connessioni degli ecosistemi acquatici per 25.000 km di fiumi, la riduzione del 50% dei prodotti fitosanitari e la riduzione del 50% della perdita di nutrienti derivanti dai fertilizzanti.La crisi climatica minaccia il futuro delle zone umide e degli ecosistemi acquatici, scrigni di biodiversità e antidoti naturali contro gli eventi meteo estremi. A pesare, l’innalzamento del livello del Mediterraneo, che potrebbe portare alla sparizione di ampi tratti di costa che ospitano zone umide. Una minaccia importante se si pensa che l’Italia – che conta 57 zone umide d’importanza internazionale, distribuite in 15 Regioni – secondo uno studio pubblicato sulla rivista “Nature” negli ultimi 300 anni (dal 1700 al 2000) ha già perso il 75% delle zone umide.